Altro
che cassanate! Se qualcuno pensa che Cassano sia un caso isolato nella
storia del calcio italiano, si ricreda, c'e chi ha saputo fare molto meglio
(o peggio?) di lui. Nella prima metà degli anni '50, arrivò nel nostro
paese il grandissimo Helge Bronèe, un fuoriclasse che riuscì a far
parlare di sé non solo per le imprese sul campo. Giocatore estrosissimo,
capace di trascinare la sua squadra, ma anche di estraniarsi dalla contesa
per motivi che riusciva a comprendere solo lui, Bronèe fu croce e delizia
delle tifoserie che poterono ammirarlo. La sua parabola italiana, fu
contraddistinta anche dall'irriducibile dissidio con Gipo Viani, il quale
arrivò a mettergli le mani addosso. Scopriamo uno dei più grandi artisti
mai arrivati nel nostro paese.
Moviola,
si o no? Gli errori ci sono sempre stati. E gli arbitri sono sempre
stati il bersaglio preferito dei tifosi, per giustificare la sconfitta
della loro squadra. Tra gli errori arbitrali più famosi, non può mancare
il famoso goal annullato a Turone nel 1981, ma ve ne sono altri che la
massa dei tifosi di oggi non conoscono, ma che furono altrettanto
clamorosi e decisivi. A partire da quello che vide protagonista
involontario l'arbitro Rigato, che, nel corso di un Lazio-Napoli decisivo
per la promozione in serie A, non si accorse di una rete segnata da
Seghedoni, provocando le clamorose rimostranze dei bianocelesti. E se ci
fosse stata la moviola?
La calata
degli oriundi Nella prima metà degli anni '30, si ebbe una massiccia
iniezione di oriundi nel nostro calcio. Approfittando della normativa che
prevedeva la naturalizzazione di chi potesse provare di avere antenati
italiani, dal Sudamerica sbarcarono decine e decine di giocatori. A volte
ottimi, altre un pò meno. Ad approfittare di questa possibilità, fu
soprattutto la Lazio che, nel 1931-32 approntò una squadra composta quasi
interamente di giocatori brasiliani. La Brasilazio, come fu ribattezzata
dai tifosi biancocelesti, rischiò addirittura la retrocessione, a causa
del mancato adattamento dei suoi oriundi. Andò molto meglio al Bologna,
che pescò fuoriclasse come Sansone, Puricelli, Fedullo o Andreolo. E gli
altri?
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La clamorosa
fuga di Guaita e Scopelli Nell'estate del 1935, si verificò un
episodio clamoroso, la fuga degli assi argentini della Roma. Guaita,
Scopelli e Stagnaro, infatti, decisero di lasciare improvvisamente la
squadra giallorossa e l'Italia, per paura di essere arruolati per la
guerra d'Etiopia. L'episodio ebbe contorni oscuri, ma, soprattutto, privò
la Roma della possibilità di vincere il suo primo scudetto, obiettivo per
il quale aveva allestito una squadra fortissima e senza punti deboli.
Andiamo a ripercorrere le tappe di una vicenda che non fu mai chiarita a
fondo e che ancora oggi solleva interrogativi.
Calcio
e politica Il calciomercato del 1934, fu caratterizzato dal clamoroso
passaggio di Silvio Piola alla Lazio. Il centravanti vercellese, destinato
al Torino, col quale era già stato siglato un precontratto, fu dirottato
a Roma grazie all'intervento del Tesoriere del PNF, Marinelli, a favore
della società biancoceleste. Non era il primo caso di commistione tra
politica e calcio, ma l'episodio fu clamoroso perchè mai sino ad allora
il potere politico si era ingerito così pesantemente negli affari
calcistici. Il connubio in questione sarebbe però andato avanti anche
dopo la fine del fascismo: troppo importante la cassa di risonanza
assicurata dal calcio per trascurarla...
La clamorosa retrocessione della Roma Il 1950
vide ammainarsi la gloriosa bandiera della Roma. La società giallorossa,
al termine di una crisi devastante, retrocesse per la prima ed unica volta
in serie B, tra lo sconforto di una tifoseria che non credeva ai propri
occhi. Era una retrocessione particolarmente clamorosa, perchè la squadra
capitolina era stata la prima squadra del centrosud a rompere il monopolio
degli squadroni nordici, vincendo uno scudetto storico. In otto anni, la
Roma era però passata dai fasti di quel primo scudetto ad una
retrocessione che era figlia di grandi errori e della mancanza di mezzi
finanziari in grado di arginare la crisi tecnica. I perchè di una
retrocessione annunciata.
I giocatori
britannici in Italia Nel romanzo del calcio italiano, una pagina a parte spetta ai giocatori
anglosassoni. Che molto raramente sono riusciti ad inserirsi nel nostro
calcio. Eppure è proprio grazie a molti di loro che il football attecchì
nel nostro paese: basti pensare al ruolo importantissimo rivestito da
Spensley nella storia del Genoa e ad Herbert Kilpin, uno dei fondatori del
Milan. Dopo di loro, per molti decenni la lingua inglese andò in soffitta
e fu rispolverata solo con l'arrivo di John Charles, il Gigante Buono
della Juventus. Fu poi la volta di Law e Baker, croce e delizia per una
breve stagione del Torino, i quali fecero immediatamente innamorare la
Maratona per poi finire la loro esperienza italiana centrando un
monumento...
Quaranta anni dalla morte di Meroni. Ricorre nel
2007 il quarantesimo anniversario della morte del grande Gigi Meroni,
indimenticabile ala del Torino. Proprio in una serata di quaranta anni fa
infatti, veniva falciato da una macchina nel centro di Torino uno dei più
estrosi artisti mai espressi dal calcio nostrano, riportando alla mente
degli sportivi granata e italiani un'altra grande tragedia, quella del
Grande Torino. Ricordiamo insieme uno dei più straordinari e stravaganti
personaggi del nostro calcio, a partire dalle parole commosse dedicategli
da Aldo Agroppi: "Stai tranquillo Gigi, noi sappiamo di aver perso un
personaggio e una persona fine di cervello e di cuore. Noi non ti pensiamo
soltanto, noi ti amiamo ancora."
Perchè
il calcio italiano ha dimenticato Vittorio Pozzo?
E' stato l'alfiere della doppia vittoria italiana ai mondiali del 1934 e
del 1938, l'uomo che costruì la grande Nazionale che negli anni '30
dominò il calcio internazionale. Eppure, il calcio italiano sembra aver
del tutto rimosso Vittorio Pozzo, tanto da non dedicargli neanche lo
stadio costruito a Torino in occasione dei Mondiali del 1990. Tutto a
causa di una supposta adesione del tecnico torinese alla Repubblica
Sociale e della sua vicinanza al regime. Che non ci fu, poichè Pozzo, da
fervente patriota, aveva soltanto servito il suo paese. Anzi, come provano
i documenti del Fondo Pozzo, egli collaborò con la Resistenza, aiutando i
partigiani nello smistamento dei prigionieri alleati. Inutilmente...
Le leggende
metropolitane del calcio romano Il calcio molto spesso è costruito su leggende. Nereo Rocco, usava
ripetere, quando guidava il Torino, che se un giocatore della sua squadra
avesse segnato dalla metacampo, sarebbe subito saltato sù qualcuno a dire
che Valentino Mazzola era capace di segnare dagli spogliatoi. Il calcio
romano non sfugge alla regola. Tra le leggende più dure a morire, ne
abbiamo scelte tre, quelle riguardanti Ezio Sclavi, Amilcar Barbuy e il
primo scudetto della Roma. Leggende fondate a volte sulla mancanza di
adeguate informazioni o semplicemente su un inadeguato lavoro sulle fonti
d'epoca. Poco male, comunque, in quanto proprio le leggende metropolitane,
spesso, sono il sale del nostro sport più popolare...
La leggenda
del Santo Bevitore Nereo Rocco è stato uno dei migliori allenatori di ogni epoca, del nostro
calcio. Ma, soprattutto, è stato un personaggio incredibile, uno di
quelli che hanno costruito la leggenda dello sport più bello del mondo.
Giocatore di ottima levatura, usava dire, esagerando, che se non si fosse
sposato troppo presto, al posto di Meazza e Ferrari ci sarebbe stato lui.
Una volta diventato allenatore, passò da un successo all'altro, sempre
sulle ali dell'amato catenaccio. Prima alla Triestina, poi al Padova,
quindi al Milan e al Torino, il Paron non sbagliò un colpo, vincendo
scudetti e coppe, ma anche costruendo veri e propri miracoli, come quello
del Padova, ammazzagrandi degli anni '50.
Il
calcio italiano colpito dalle Leggi Razziali
Anche il nostro calcio dovette pagare tributo alla sciagurata politica
antiebraica di Mussolini. Tra le tante storie, le più clamorose furono
quelle di Renato Sacerdoti, presidente della Roma, di Anton
"Egri" Erbstein, uno degli artefici della costruzione del Grande
Torino e di Arpad Weisz, forse il miglior tecnico dell'epoca che
precedette la Seconda Guerra Mondiale. Sacerdoti pagò la fuga di Scopelli,
Guaita e Stagnaro col confino, Weisz morì in campo di concentramento,
come la sua famiglia ed Erbstein, dopo essere scampato ai campi di
sterminio, fu coinvolto nella sciagura di Superga, nella quale perì il
Grande Torino. Andiamo a ripercorrere le storie di tre grandissimi
personaggi del calcio italiano.
Poveri
ma belli Una volta, non
era necessario spendere vagonate di soldi per vincere lo scudetto. C'è
stato un tempo felice in cui squadre formate con tanta passione e
competenza, riuscirono ad arrivare a quello che ormai è diventato una
chimera, il titolo. Gli esempi sarebbero tanti, ma qui ci limitiamo a
riportarne tre: la Fiorentina di Bernardini del 1955-56, il Bologna,
sempre guidato dal Dottor Pedata, che vinse il titolo dopo il famoso
spareggio dell'Olimpico nel 1963-64 e la splendida Lazio di Tommaso
Maestrelli, campione nel 1973-74. Tutte squadre che sulla carta non
avrebbero potuto competere con chi ogni anno provvedeva ad inondare
l'Italia di bigliettoni e che invece riuscirono in una impresa che oggi,
purtroppo, sembra diventata praticamente impossibile.
Il
rosso e il nero La guerra civile che fece seguito al dissolvimento del regime fascista,
interessò anche il mondo del pallone. E non poteva che essere così, in
una Italia percorsa dagli eserciti in lotta e divisa all'altezza della
Linea Gotica. Tante le vicende di cui furono protagonisti diretti
calciatori che solo poco tempo prima dovevano solo badare a proteggere le
caviglie da eventuali incidenti. Da una parte e dall'altra, ci fu chi si
schierò apertamente per una delle due parti in causa e pagò con la vita
questa scelta. Poi vi fu la zona grigia, quella nella quale si rifugiava
anche chi si era schierato e non poteva farlo sapere. Andiamo a vedere
alcune delle vicende più intricate di quell'epoca di lutti.
C'era
una volta la Provincia Il calcio
degli inizi, fu contrassegnato dalle tante realtà di provincia che
puntarono sul nuovo sport proveniente dall'Inghilterra per affermare la
propria voglia di ribalta. E in questo quadro, un ruolo preminente fu
svolto dalla provincia piemontese, ove si formò una vera e propria
scuola, con le sue ramificazioni. Realtà come quella di Casale, coi neri
dello Junior capaci di arrivare a vincere lo scudetto 1913-14. O come
quella di Vercelli, coi bianchi della Pro che riuscirono addirittura a
fare indigestione di titoli, ben sette prima dell'avvento del
professionismo che tarpò le ali a chi non aveva adeguati sostegni
economici. Per non parlare dei grigi di Alessandria, che non vinsero mai
lo scudetto, ma riuscirono a resistere a lungo a realtà economiche di
maggior consistenza, grazie a passione e competenza.
Il
Dottore che dava scuola agli argentini
Fulvio Bernardini, fu grandissimo protagonista del nostro calcio per mezzo
secolo. Affermatosi giovanissimo nella Lazio, fu il primo giocatore del
centrosud a vestire la maglia azzurra. Lascio la Lazio per l'Inter,
provocando una mezza rivoluzione, per poi tornare a Roma dopo due anni, ma
sull'altra sponda del Tevere. Era talmente bravo, che la famosa canzone di
Testaccio affermava desse scuola agli argentini. E per la sua bravura,
Pozzo lo mise fuori dal giro azzurro, preferendogli giocatori più
normali. Diventato tecnico, produsse i miracoli della Fiorentina 1955-56 e
del Bologna 1963-64. Il suo ultimo lampo, fu la proposizione dei piedi
buoni in Nazionale, dopo il disastro tedesco del 1974.
La
rivalità più feroce Il derby di Roma, è sicuramente il più sentito tra i tanti che
caratterizzano il nostro calcio. La rivalità tra romanisti e laziali è
sempre stata irriducibile, sin dagli inizi. Basti pensare ai clamorosi
incidenti del 1930-31, che costrinsero i carabinieri a cavallo ad
intervenire per interporsi ai gruppi di tifosi capitolini che stavano
dando luogo ad una gigantesca zuffa che minacciava di sfociare in una
tragedia. I motivi di questa ostilità sono tanti e risalgono alla nascita
delle due squadre e alle modalità che le distinsero. Andiamo a rivivere
alcuni dei derby più infuocati della storia, a partire proprio dal primo
di essi, giocato nel 1929 allo Stadio della Rondinella e risolto da una
rete di Volk.
Calcio e totalitarismi Il grande successo incontrato dl calcio, sin dai suoi inizi, presso le
masse popolari del Vecchio Continente, spinse i regimi totalitari che
stavano sorgendo in tutta Europa, a fare i conti con quello che era un
fenomeno di costume. Mussolini fu il primo a darsi da fare per sfruttare
il veicolo calcistico a fini di propaganda, ma non il solo. La Germania
nazista, dopo l'Anschluss con l'Austria, provò a trarre vantaggio
dall'unione di due squadre forti, ma si trovò a fare i conti con il
rifiuto del grande Sindelar, che era di origini ebraiche. Anche l'Unione
Sovietica, nel 1958, si trovò a fare i conti con l'impossibilità di
normalizzare uno spirito ribelle come quello di Streltsov. Andiamo a
rivivere quelle clamorose vicende...
Quell'incredibile 6-5 del 6 novembre 1949
Il 6 novembre del 1949 si gioca il più incredibile derby meneghino della
storia. La partita, infatti, finisce con un pirotecnico 6-5 che non ha
precedenti e rimarrà a lungo impressa negli occhi di chi vi assiste come
classico caso di non sense applicato al gioco del calcio. Dopo soli
diciannove minuti, infatti, il Milan conduce 4-1 e sembra aver in tasca
i due punti. Non è così, perchè la reazione dell'Inter porta le squadre
al 4-4 negli spogliatoi, per il riposo. Ormai, però, la partita ha preso
una piega favorevole ai nerazzurri, come si incarica di dimostrare il
secondo atto della sfida. Che sancisce il clamoroso sorpasso dell'Inter
ai danni dei cugini, nonostante la reazione finale di Nordhal e compagni... |