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DALLA FONDAZIONE
ALLA PRIMA GUERRA MONDIALE - DAL
SECONDO SCUDETTO ALLA CRISI DEGLI ANNI '20 -
I BRILLANTI ANNI '30
- L'ERA MASSERONI -
L'ERA D'ORO DI ANGELO MORATTI - L'INTER EUROMONDIALE - DA MORATTI A FRAIZZOLI - CON
PELLEGRINI E TRAPATTONI E' ANCORA GRANDE INTER - A CORRENTE ALTERNATA - IN
NOME DEL PADRE: ARRIVA MASSIMO MORATTI
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ARRIVA ANGELO MORATTI
L'estate del 1955 vede l'arrivo di Angelo Moratti. Il nuovo presidente
si presenta con una serie di grandi acquisti (Ferrario, Celio e
Vonlanthen in particolare) che ne dimostrano le grandi ambizioni. Dopo
una grande partenza, però, la nuova Inter entra in una crisi profonda e
accumula un ritardo incolmabile dalla grande Fiorentina di Julinho, che
va a vincere il suo primo scudetto della storia, mentre Lorenzi e
compagni finiscono terzi.
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L'arrivo di Angelo Moratti al timone
nerazzurro, arrivava in un momento molto difficile, con una squadra
totalmente da rifondare, arrivata alla fine di un ciclo senza più forze.
Il nuovo numero uno, si mise subito all'opera con l'entusiasmo del
neofita e probabilmente senza avere piena coscienza della difficoltà del
compito che lo attendeva. La prima scelta da fare, era quella
riguardante il nuovo tecnico e la decisione di Moratti fu a favore di
Aldo Campatelli, che oltre ad essere un allenatore emergente, aveva il
vantaggio di conoscere bene l'ambiente. La squadra vide una vera e
propria rivoluzione, con gli arrivi di
Fongaro
(dal Marzotto) e
Ferrario
(dalla Juventus) in difesa, di
Campagnoli
(dal
Vicenza), Cazzaniga (dal Como),
Fraschini
(dal Brescia),
Masiero
(dal Marzotto), Orlandi (dal Nacional),
Cacciavillani
(dal River Plate)
e Celio
(dalla Roma) nel reparto centrale, mentre all'attacco arrivavano
Massei
(dal Rosario Central) e
Vonlanthen
(dallo Zurigo). Da rimarcare
che per avere Ferrario, Moratti tirò fuori senza battere ciglio 50
milioni, mentre il colpo grosso, sulla carta, era quello rappresentato
dall'attaccante svizzero Vonlanthen, uno dei protagonisti della
clamorosa eliminazione dell'Italia dai Mondiali del 1954. Il suo arrivo
in Italia, coincideva con lo scoppio di un vero e proprio caso che
approdò in Parlamento e ritardò il suo esordio sino a dicembre. Le
aspettative generate da questo ambizioso mercato, furono molto alte,
comprensibilmente e questa attesa non giovò certo alla squadra
nerazzurra. La partenza, infatti fu abbastanza problematica, tanto che
alla tredicesima giornata Campatelli fu costretto a lasciare in favore
di un altro grande ex, quel Meazza che fu chiamato dalle giovanili per
raddrizzare una barca faceva acqua. Dopo le tre vittorie iniziali, l'Inter
riuscì addirittura a pareggiare in casa della Fiorentina che si avviava
a stravincere il torneo, per poi vincere il primo derby dell'anno. Il
primo campanello di allarme, squillò alla settima giornata, quando
Tortul autore di una tripletta segnò nel finale della gara di Marassi,
costringendo i ragazzi di Campatelli alla battuta di arresto. La
sconfitta con la Sampdoria sembrò sgonfiare del tutto la baldanza
esibita sino a quel momento, tanto che la Lazio andò a vincere a San
Siro nella gara seguente. Sconfitta anche a Roma, dai giallorossi, alla
decima giornata, dall'Atalanta in quella successiva, dal Genoa alla
dodicesima e dal Padova, la squadra ormai in aperta crisi accumulò anche
la quinta sconfitta consecutiva, a Torino con la Juventus, prima di
pareggiare con la Triestina in casa a reti inviolate. Fu la vittoria di
Napoli a dare una svolta in positivo all'annata, ma ormai la Fiorentina
era scappata via e nel prosieguo del torneo, a Meazza rimase l'unico
compito di porre le basi per l'annata successiva e di guadagnare quante
più posizioni possibile. Un compito sbrigato come meglio non si poteva
dal Balilla, il quale riuscì a chiudere la stagione con un onorevole
terzo posto, a quattordici punti dalla Fiorentina campione d'Italia per
la prima volta nella sua storia. Il bilancio dell'annata poteva comunque
dirsi abbastanza positivo se si considera l'ottavo posto che era stato
il lascito dell'ultima stagione di Masseroni. Se invece si faceva
riferimento alle cifre spese e alle aspettative di inizio campionato, il
bicchiere non poteva che dirsi mezzo vuoto. Pesava in particolare la
delusione fornita da Vonlanthen, a disagio con i solidi catenacci
sciorinati dalle difese italiane, mentre Massei si era rivelato un
equivoco: preso come attaccante, era invece un centrocampista di grande
classe che si era adeguato a giocare in un ruolo che non era il suo.
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RISULTATI ALTERNI
Nelle stagioni successive, i risultati sono ancora deludenti. Quinta
nel 1956-57 e addirittura nona nella stagione successiva, la squadra non
riesce a ripagare gli ingenti investimenti del neo presidente. Gli
acquisti dispendiosi di Venturi e Pandolfini non bastano a far
salire una squadra discontinua. La nota lieta di questo biennio è
costituita dall'arrivo di Antonio Valentin Angelillo, uno dei famosi
angeli dalla faccia sporca dell'Argentina.
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Naturalmente, dopo la
rivoluzione dell'estate precedente, stavolta Moratti si dedicò al
consolidamento dell'impianto preesistente.
Tra gli acquisti di rilievo del mercato 1956-57, furono da annoverare
quelli del difensore
Bernardin, centromediano prelevato dalla Triestina
insieme a
Passarin, del mediano
Bearzot, dal Torino, dell'interno
Dorigo, anche egli dalla Triestina, ma soprattutto quello di Egisto
Pandolfini,
uno dei migliori interni del dopoguerra, prelevato a carissimo prezzo
dalla Roma. Sul fronte delle partenze, erano da notare quelle di
Padulazzi, andato a Torino in cambio di Bearzot, insieme ad Armano, e
quella di Ferrario, mandato a Trieste per Bernardin. Si confidava
soprattutto nella crescita di Vonlanthen, cui era stata rinnovata la
fiducia e su una continuità di rendimento che era clamorosamente mancata
nel corso dell'anno appena consegnato agli archivi. Considerato il
deciso restyling del centrocampo, ove erano stati immessi uomini dal
rendimento garantito, le aspettative erano ancora una volta molto alte.
La partenza, però, fu molto travagliata e dopo cinque giornate la
squadra, che era stata affidata a Ferrero, si ritrovò al settimo posto.
A questo punto, Lorenzi e compagni misero il turbo tanto da arrivare in
vetta alla dodicesima giornata. Questa altalena di risultati, però, non
poteva che allarmare dopo quanto era successo un anno prima e infatti,
il prosieguo del torneo dimostrò che la continuità era ancora un sogno
per la squadra nerazzurra: terza a metà torneo, l'Inter tenne il passo
delle prime sino alla venticinquesima giornata, quando Ferrero decise di
mollare la guida tecnica a Frossi, che sino a quel momento era stato
direttore tecnico. Il suo avvento sulla panchina non poteva però
mascherare l'ormai evidente crisi di una squadra in caduta libera. Nelle
ultime otto giornate, l'Inter fece appena cinque punti e concluse la
stagione con un quinto posto abbastanza desolante.
C'era bisogno di cambiare passo, dopo un esito così mortificante.
Moratti si fece interprete di questo bisogno e nel corso dell'estate
riuscì a portare a Milano Antonio Valentin
Angelillo, uno dei famosi
angeli dalla faccia sporca che avevano fatto mirabilie con l'Argentina
nel corso del torneo sudamericano appena terminato. Il suo acquisto,
comportò l'esborso di 90 milioni, solo dieci in più di quelli che
Moratti dovette tirare fuori per
Tinazzi, grande promessa
dell'Alessandria. A loro andava aggiunto quell'Arcadio
Venturi che per
anni era stato inseguito dai nerazzurri e che finalmente Sacerdoti aveva
lasciato andare, non senza esserselo fatto pagare una nuova vagonata di
milioni. In totale, il mercato estivo del 1957 vide l'Inter tirare fuori
la bellezza di 350 milioni, mentre entravano nelle casse sociali 120
milioni, risultati dalle cessioni di Bearzot al Torino e Giacomazzi,
Vonlanthen e Savioni all'Alessandria. Ancora una volta, le aspettative
all'inizio del torneo erano altissime, ma il risultato finale fu il più
classico dei topolini partoriti dalla montagna. Affidata all'inglese
Jesse Carver, la squadra nerazzurra non riuscì mai a decollare e dopo
aver virato in sesta posizione a metà torneo, concluse con un disastroso
nono posto. Lo stesso Carver, sul finale del torneo aveva preso
irrimediabilmente atto del fallimento, dando le dimissioni e al suo
posto aveva concluso Radio. Angelillo, atteso in maniera spasmodica dalla tifoseria,
riuscì solo in parte a ripagare lo sforzo di Moratti e pur segnando
sedici reti, dette luogo ad un rendimento molto altalenante, risultando
decisivo soltanto a sprazzi. Inoltre, permaneva l'equivoco rappresentato
da Massei, il quale aveva pagato per tutti, andando a finire fuori
squadra, dopo sole dodici gare. Se non era un disastro, poco ci mancava,
soprattutto se si considera che nei tre anni appena conclusi, la nuova
Inter di Moratti aveva assunto l'andatura del gambero, passando dal
terzo posto dell'esordio al nono dell'annata appena terminata. Ancora
una volta, Moratti decise di reagire con una sventagliata di milioni
che, se non altro, la dicevano lunga sulla sua voglia di lasciare il
segno.
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CONTINUA L'ALTALENA
L'estate del 1958 vede l'arrivo di Eddie Firmani e Bengt Lindskog, ma
neanche le 33 reti di Angelillo bastano per lo scudetto. Il terzo posto,
sembra però il preludio ad una ulteriore salita. Una campagna stavolta
in tono minore, introduce la squadra al torneo 1959-60, che invece vede
l'Inter fare un passo all'indietro, arrivando quarta. E' ormai chiaro
che per dare la svolta, serve una vera scossa e Moratti decide di
attivarsi in tal senso.
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Nell'estate del 1958 l'Inter
si fece notare soprattutto per la caccia a rinforzi che fossero in grado
di farle fare un salto di qualità in avanti. Al fine di dare ad
Angelillo un compagno di reparto di peso, Moratti bussò alla porta della
Sampdoria per avere Eddie Firmani, che aveva
fatto vedere quanto sapeva fare a Genova mettendo a segno 23 reti nel
torneo appena concluso. Al "Tacchino freddo", curioso soprannome con il
quale era noto l'oriundo, fu affiancato l'interno svedese Bengt
Lindskog, altro
giocatore di peso che era stato reclamato dal nuovo allenatore, Peppino Bigogno, il quale lo aveva avuto alle sue dipendenze ad Udine e ne
conosceva il valore. In difesa, arrivava invece l'ex romanista
Cardarelli, altro giocatore dalla stazza notevole, mentre la campagna
acquisizioni si arricchiva di due operazioni in prospettiva come quelle
che portavano a Milano Guarneri, difensore centrale prelevato dal Como,
e Mariolino Corso, che era stato scovato al San Michele Extra. Grande
sconcerto sollevava però la cessione di Benito Lorenzi, che svestiva il
nerazzurro dopo 305 gare e 142 reti. Altra operazione in uscita che
sollevava polemiche era quella relativa a Giorgio Ghezzi, che lasciava
il posto a Matteucci. Almeno sulla carta, comunque, sembrava una
campagna acquisti di grande spessore. I riflettori erano puntati
soprattutto sull'attacco, ove alla classe di Angelillo si andava ad
aggiungere il peso di Firmani, mentre lo stesso Lindskog era un interno
di punta abituato a lasciare il segno. Alla fine della stagione,
arrivava un terzo posto che se da un lato vedeva l'Inter rientrare nel
giro delle grandi, dall'altro lasciava deluso Moratti, che per avere di
più aveva esonerato Bigogno alla ventitreesima giornata, alternandolo
con Campatelli, senza però avere una risposta adeguata. Neanche le 33
reti segnate da uno spettacoloso Angelillo e i venti centri di Firmani
avevano potuto ovviare alle magagne palesate dagli altri reparti, ma i
passi avanti compiuti nel corso del torneo, convinsero Moratti di essere
ormai sulla strada giusta.
Ne derivò una campagna acquisti in tono minore. Moratti, in effetti,
sperava che con un anno di esperienza il gruppo che aveva formato
avrebbe potuto fare un ulteriore passo in avanti e colmare il gap dalla
concorrenza. Anche la guida tecnica, stavolta, rimase invariata, con
Campatelli alla guida e Achilli a coadiuvarlo. Alla rosa dell'anno
appena concluso, andava ad aggiungersi un portiere di riserva,
Pontel,
prelevato dal Palermo e il difensore Gatti,
giovane promessa della Reggiana, che andava ad affiancarsi al pacchetto
arretrato. Se le aspettative erano ancora una volta tante, il campo si
assunse il compito di sgombrarle presto. La solita discontinuità che già
aveva compromesso le stagioni precedenti, caratterizzò ancora una volta
il cammino della squadra nerazzurra. E stavolta, sulla panchina fu
addirittura girandola, con Campatelli a gettare la spugna dopo 24 turni
e Achilli ad emularlo tre giornate dopo, lasciando in favore di Giulio
Cappelli. A rendere più difficile il cammino nerazzurro, concorsero
anche i problemi fisici di Lindskog, che però ebbero il vantaggio di
portare alla ribalta il diciottenne Mario Corso, grande nota lieta della
stagione e le sole undici reti segnate da un Angelillo a scartamento
ridotto. Il risultato finale, fu un quarto posto che non poteva certo
accontentare Moratti. La sua Inter, dopo cinque stagioni dal suo
insediamento ancora non aveva trovato una identità precisa e annaspava
alla ricerca di un filo conduttore preciso, in grado di non vanificare
gli investimenti fatti. Diventava sempre più evidente la necessità di
dare una sterzata.
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